10 marzo 2024 - IV Domenica di Quaresima

Omelie festive

Giovanni 9, 1-38


1. Nessuna colpevolizzazione

L’idea che il male che ci affligge sia colpa di qualcuno, ed alla fine di Dio stesso,
è un pregiudizio difficile da superare.
Soprattutto in tempi in cui vigeva la cosiddetta 'teologia della retribuzione',
secondo la quale la malattia e l’inabilità erano frutto del peccato,
non solo personale, ma anche ereditato dai genitori o dagli antenati più prossimi.
Il cieco è cieco sin dalla nascita perché il limite umano contempla anche la malattia,
che si abbatte implacabile su tutti.
La vista che Gesù restituisce è per la gloria di Dio, cioè per mostrare, attraverso un segno indicatore,
il peso che Dio ha nella storia dell’uomo (in ebraico ‘gloria’).
La vista biologica è essenziale per la nostra vita, ma molti di noi pur vedendo, non vedono l’essenziale,
oppure, ancor peggio, distolgono gli occhi dalle disgrazie e sofferenze altrui.
La vista dell’uomo è corta, e con il passare degli anni peggiora, per questo il salmista recita così:
“lampada ai miei passi Signore è la tua parola, luce sul mio cammino” (Salmo 118).
Come diceva Saint-Exuperi ne “Il piccolo principe”:
“L’essenziale è invisibile agli occhi. Occorrono gli occhi della fede per coglierlo”.
E allora ecco il mistero del cieco nato è svelato:
gli occhi biologici gli sono ridati per decretare che Dio è dalla parte dell’uomo,
gli occhi della fede sono il vero dono che, da lì in poi, illumineranno la sua vita
permettendogli di riconoscere in Gesù la luce che illumina la vita,
anche quando le tenebre sono più oscure.
Camminiamo dunque nella luce del Signore, senza ambiguità, orgogliosi della nostra fede,
con il desiderio di riaccendere la luce della fede battesimale in molti cristiani che l’hanno smarrita.
Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.

2. Dio è compassione, futuro

Oggi, per la via, Gesù incrocia l’ultimo degli ultimi: un cieco, innocente e innocuo.
Gli si avvicina, lo tocca. La muta speranza del cieco non chiede,
non gli chiede il perché della sua condanna: cerca solo a tentoni mani che lo tocchino,
e che sugli occhi spenti gli infondano un po’ di vita.
Alla sua impurità cerca partecipazione, non spiegazione. Invece i farisei su questo hanno eretto
una serie di parole e sofismi per non ascoltare la vita. È il mondo ad essere cieco!
Infatti sulla bocca dei farisei il termine più ricorrente è “peccato”,
innalzato a teoria per spiegare il mondo e la sua realtà.
Una religione immiserita a questioni di peccato che Gesù capovolge all’istante:
l'uomo non coincide con il suo errore, mai. Esso non spiega Dio, che è compassione, futuro,
approccio ardente, amore che fa ripartire a cuor leggero. Gesù non parlerà di peccato
se non per dire che è perdonato; che Dio non si spreca in castighi, che non indugia sul moralismo.

3. La strada maestra della Chiesa è l'uomo

L'essenza etica del Vangelo è il valore assoluto di ogni persona. Con poco fango,
con la creta di poca polvere impastata a saliva, ecco un minimo nuovo creato, che Gesù stende
su quelle palpebre innocenti. E come con la bambina di Giairo, lo congeda con “Kum!”: “Alzati!”.
Risorgi e vai dove tutti ti possano vedere con occhi nuovi. E fallo anche tu, illumina la tua vita.
“Vai alla piscina di Siloe!”. Il mendicante cieco si fida di un miracolo che ancora non c'è,
di un salto nel buio. Andò, e tornò che ci vedeva. Non siederà più a terra a invocare pietà,
ma starà ritto in piedi con la faccia nel sole, finalmente libero. Finalmente uomo.
Ma l'uomo nato cieco passa da miracolato a imputato. Ai farisei interessava solo la “sana” dottrina.
E avviano un processo per eresia. Ma la strada maestra della Chiesa è solo l'uomo. Sempre.
Se un'esperienza regala vita, allora è buona e benedetta. Legge suprema di Dio è che l'uomo viva!

 

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